Bettina è una donna elegante, posata, ama parlare e mi accoglie con grazia e cordialià nella sua vecchia casa riattata di Buenos Aires. Arrivo al mattino presto, dopo un viaggio in bus di un giorno e una notte dal Brasile. È fine marzo, e in Argentina sta cominciando l’autunno, Buenos Aires mi saluta con una pioggerellina un po’ malinconica e un’aria che, dopo mesi di calore brasiliano, mi fa rabbrividire. Suono il campanello del portone di ferro della Casa del Sol, nel quartiere di Almagro, e mi apre la porta una signora minuta, curata, dall’aspetto europeo, probabilmente di origine italiana, come molti degli abitanti di questa città. Con un sorriso mi invita a salire al primo piano della vecchia casa di famiglia, che è stata riattata ed adibita a piccola pensione. Mi spiega che di solito è la figlia ad occuparsi della pensione e dei suoi ospiti, ma siccome è dovuta partire per un weekend prolungato, sarà lei ad accogliere i viaggiatori in arrivo quei giorni. Piacevolmente sorpresa dalla mia conoscenza dello spagnolo, mi invita ad accomodarmi su una poltroncina nella sala in comune e si lascia andare ad una lunga chiacchierata. È piacevole ascoltarla, il suo modo pacato di esprimersi, la sua tipica parlata argentina, sembra scegliere ogni parola con assoluta accuratezza, come se dovesse comporre un poema, un’opera d’arte anche solo per spiegarmi dove verrà servita la colazione. Mi racconta un po’ della sua vita, dei suoi due mariti morti in giovane età, la “vedova nera”, si definisce lei in modo autoironico con una punta di tristezza. Degli anni vissuti in Brasile, di sua figlia trentenne che vive con lei, insieme al marito e al figlio di pochi mesi, al secondo piano della pensione. Della vita in Argentina, dei politici che “hanno derubato e rovinato il paese”, della bellezza di Buenos Aires e del suo amore per Parigi, città così elegante e piena d’arte, per certi versi così simile a Buenos Aires.
La casa adibita a pensione è bella ed elegante come la proprietaria, mi sento a mio agio tra le sue mura calde, i mobili in legno e le antiche pareti di pietra.
Bettina si preoccupa per la mia amica Kanika, “così giovane, così magra”, arrivata il giorno prima con un volo da Rio de Janeiro e con cui mi sarei dovuta riunire al mio arrivo a
Buenos Aires. Mi dice che Kanika sta dormendo, ma ormai sono quasi le 11, e Bettina si chiede se non debba andare a controllare se vada tutto bene. Bussa alla porta della stanza di Kanika, anche se Kanika ormai ha 20 anni e sa badare a se stessa.
È così Bettina, un po’ mamma e sempre un po’ preoccupata per i suoi ospiti, le piace interagire e chiacchierare a lungo con loro. La sera, dopo una luna camminata per le vie del centro, torniamo alla Casa del Sol, stanche e infreddolite da questo inaspettato fresco autunno argentino. Mi siedo sul letto e intravedo Bettina dalla porta socchiusa della mia stanza. La chiamo e ne approfitto per chiederle informazioni su corsi e spettacoli di tango. Viene in camera a sedersi sul mio letto come una vecchia amica, o una mamma affettuosa, e si mette a parlarmi del tango e di quest’arte incomparabile. Mi rivela che è una maestra di tango, ha passato la vita ad insegnare quest’arte e ha girato il mondo grazie alla danza. Il tango è tutto, è bellezza e arte. I suoi occhi si illuminano parlandone.
Bettina è come il tango, e il tango è come Buenos Aires. Elegante, passionale, malinconico.